Bombyx – Rivista, 1 (2021): 1-20
Pubblicato online: 23 Maggio 2021
DOI:10.5281/zenodo.4782703
Bombyx.it © 2021 redazione
Abstract
Dal primo intervento di disinquinamento del fiume Sarno risalente al 1973, nonostante le ricerche, gli studi, le norme, i progetti e le consistenti economie stanziate a garanzia della realizzazione di opere fondamentali per il risanamento dei territori, è mancata la capacità di attuazione “in tempi umani”, compromettendo il benessere dei luoghi. Di inquinamento si muore e per la salute degli abitanti, drammatico è stato il risultato dei ritardi – spesso inspiegabili e talvolta colpevoli – nelle due azioni considerate fondamentali e risolutive, e cioè la prima, applicare le leggi riguardanti la tutela ambientale, per far rispettare i divieti e punire gli illeciti, e la seconda, realizzare gli interventi atti a rimuovere le cause dell’inquinamento in difesa delle acque. Tra il XX e il XXI secolo, le conseguenze dell’inquinamento del fiume Sarno sulle condizioni di salute degli abitanti sono evidenziate da studi e pubblicazioni di università, istituti di ricerca e associazioni, mentre sono del tutto inesistenti le indagini epidemiologiche da parte degli enti locali preposti delle tre province coinvolte, Salerno, Avellino e Napoli, al fine di evidenziare la correlazione tra l’incremento di alcune patologie e l’inquinamento.
Keywords: Sarno, Fiume Sarno, inquinamento delle acque, bacino idrografico del Sarno
Introduzione
Il grande intervento in epoca moderna di disinquinamento del fiume Sarno inizia a catastrofe avvenuta, a seguito dell’epidemia di colera che colpì Napoli nel 1973, con la decisione del Governo di sviluppare un intervento atto a rimuovere l’inquinamento su scala territoriale, attraverso la Cassa del Mezzogiorno. Dal 1973, il bacino del Sarno è stato oggetto di un programma di investimenti senza precedenti e, a pochissimi anni dal 50° anniversario dell’inizio di una formidabile sequela di interventi pubblici mai completati del tutto, il principale obiettivo prefissato del progetto, ovvero il disinquinamento del fiume, non è stato raggiunto.

All’inizio del 1990 il Consiglio dei Ministri dichiarò il bacino idrografico del fiume Sarno, che comprende parte delle province di Avellino, Salerno e Napoli, “area a elevato rischio di crisi ambientale”. Nel 1995 il Governo, prendendo atto che l’impatto antropico aveva compromesso le risorse naturali, ne decretò lo stato di emergenza per la grave situazione socio-economica-ambientale. La gestione del dramma del bacino del Sarno è segnata irrimediabilmente da gironi infernali di passaggi tortuosi da un ente all’altro di competenze, personale, mezzi ed economie, che rendono difficile oggi persino ricostruire le norme adottate per realizzare quegli stessi trasferimenti. Proliferano nei decenni inutilmente e inarrestabilmente leggi, decreti e ordinanze, si clonano incarichi, si sovrappone emergenza ad emergenza (nel 1998 si aggiunge l’emergenza idrogeologica), generando quella letale frammentazione di competenze delle diverse amministrazioni, che favorisce il lavoro “in autonomia” dei vari enti a discapito di raccordi e collegamenti, e che contribuisce ad annientare la indispensabile conoscenza tecnica del dominio, pur conquistata a fatica nel tempo.
Le inchieste delle Commissioni parlamentari
Nell’ambito del “Progetto Emergenza Sarno”, per gli anni 2003 e 2004, l’ARPAC effettuò il censimento degli scarichi presenti lungo il corso del fiume Sarno, dimostrando che gli scarichi civili erano 3 volte superiore a quelli industriali. Tale risultato nel 2006 fu riportato nel rapporto della Commissione parlamentare di inchiesta, istituita nel 2003, sulle cause dell’inquinamento del bacino idrografico del fiume Sarno, la quale confermò le fonti principali di contaminazione ambientale di tipo industriale, agricolo e urbano. Le acque di scarico urbane provengono non solo dalle abitazioni, ma anche da ristoranti, lavanderie, ospedali, officine, ecc.. La composizione delle acque di scarico urbano, quindi, varia in base a luogo, al livello di urbanizzazione, potendo contenere oltre agli scarichi domestici, anche olii, grassi, acidi, schiume, sostanze coloranti, prodotti chimici di vario tipo, ecc..
Nell’ottobre del 2015, un’altra Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, in occasione della audizione del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Napoli, si vide costretta ad approfondire l’inquinamento di cui soffre ancora il Sarno, chiamato “fiume perché è così segnato nelle carte geografiche, ma è una fogna a cielo aperto […]”. Nel 2016 il Distretto Idrografico dell’Appennino Meridionale constata l’esistenza di contaminazione da nitrati nei corpi idrici sotterranei del bacino, attribuita alle intense pressioni antropiche, di tipo industriale, agricolo e civile. A fine 2017, gli impianti centralizzati di depurazione dei 5 comprensori in cui è diviso il bacino idrografico del fiume Sarno, sono in esercizio, ma non tutti veramente efficaci, e a causa del mancato completamento della rete di collettori tributari e delle reti fognarie, molti comuni scaricano i propri reflui in ambiente, cioè in alvei, rivoli o canali tutti riconducibili nel fiume Sarno (ad eccezione di Torre del Greco che scarica i propri reflui direttamente a mare, mediante una condotta sottomarina di un chilometro, in violazione dei limiti imposti dalla legge). “Le acque reflue non depurate di un milione di abitanti gravano sul fiume Sarno” e gli sversamenti abusivi continuano, specialmente di notte e in occasione di eventi meteorici, ovvero quando è più difficile essere scoperti. Carenza di reti fognarie e depuratori, mancanza di collettori, sversamenti abusivi che causano grave degrado e inquinamento accertato, la Commissione parlamentare nel 2018, “squalificò” la infrastruttura della Valle del Sarno, ritenendola non degna di un paese civile. Di fatto, nella piana del Sarno, la devastazione dell’ambiente ha determinato la depressione delle attività esistenti, causando la regressione socio-economica, non potendo utilizzare il territorio come formidabile leva di sviluppo e prosperità.
Le conseguenze dell’inquinamento del fiume Sarno tra il XX e il XXI secolo
Dall’inizio del primo intervento di disinquinamento del fiume risalente al 1973, nonostante le ricerche, gli studi, le norme, i progetti e le consistenti economie stanziate a garanzia della realizzazione di opere fondamentali per il risanamento dei territori, è evidente che è mancata la capacità di attuazione “in tempi umani”, compromettendo il benessere dei luoghi e la salute degli abitanti, perché di inquinamento si muore. In determinate circostanze di emergenza sanitaria, l’incapacità ad agire tempestivamente da parte di chi governa, può essere letale e può implicare un costo enorme in termini di vite umane. A tale proposito, la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’inquinamento, nel rapporto del 2006, constatò il sussistere di una “condizione di inerzia amministrativa”, non solo nella mancata attivazione di controlli efficienti per prevenire il prodursi di danni all’ambiente, ma anche nel verificare le conseguenze di quei danni sulla salute dei cittadini. Le ASL competenti non avevano intrapreso quelle indagini epidemiologiche che alla Commissione apparivano doverose e urgenti. Ed in effetti, cercando di dare un assetto, non senza difficoltà, alla documentazione esistente, ci accorgiamo che l’attenzione sull’accertamento delle cause di inquinamento e delle conseguenze sulla salute pubblica non è stata così carente da parte delle nostre università e degli istituti di ricerca, mentre sono del tutto inesistenti le indagini epidemiologiche da parte delle ASL delle tre province coinvolte, Salerno, Avellino e Napoli. ASL e Arpac pur essendo informate del fatto che i territori attraversati dal fiume Sarno sono ad elevato rischio per le pessime condizioni ambientali, non intraprendono studi epidemiologici mirati nei territori di propria competenza.
Nel 1984, l’associazione “Proposte Ambientali” di Sarno pubblicò una piccola indagine, “Di inquinamento si muore” del Dott. Carpinelli, Responsabile della Divisione di Malattie Infettive Ospedale di Sarno, sui comuni di Sarno, San Marzano, S. Valentino Torio, Siano, Bracigliano, nel periodo dal 1978 ai primi mesi del 1984. L’analisi dimostrò che esisteva una correlazione tra l’incremento di alcune malattie infettive, come l’Epatite Virale di tipo A e B e il tifo, e l’inquinamento dovuto agli scarichi fognari. In particolare, l’indicatore principale fu l’incremento di l’E.V.A (epatite epidemica), indipendente dalla stagionalità, il cui ciclo epidemiologico è rappresentato da un circuito oro-fecale. Nel 1997 un rapporto della Organizzazione Mondiale della Sanità segnalò nella zona del fiume Sarno un indice di mortalità per cancro e leucemia superiore del 17 % rispetto ad altre zone del mondo.
L’analisi dei campionamenti 2002-2003 dell’Arpac, rivelò che le concentrazioni di metalli pesanti nelle acque superficiali del Rio Palazzo superavano i valori limite, così come la contaminazione da batteri fecali superava i limiti accettati dalle normative, mentre la presenza di Salmonella sfiorava il limite imposto. Procedendo verso la foce del Sarno, la situazione non poteva che peggiorare gradualmente e notevolmente. Negli stessi anni, anche una ricerca promossa dall’Istituto Superiore di Sanità, aveva evidenziato la presenza nelle acque del Sarno di una contaminazione da batteri fecali enormemente superiore ai limiti consentiti. Le indagini continuarono e nel successivo studio, pubblicato nel 2006, per l’emergenza socio-economico-ambientale del bacino idrografico del Sarno, le concentrazioni rilevate di Salmonella e Vibrio cholerae, confermarono le condizioni di degrado della qualità igienico-sanitaria delle acque del fiume.
Apokalypse Now: indagine epidemiologica della Commissione parlamentare (2003-2006)
Ma la mancanza di una valutazione complessiva, univoca e soddisfacente, che dichiarasse il reale collegamento tra l’inquinamento del fiume ed eventuali incrementi di patologie, evidenziando i possibili e dannosi effetti, cioè la eco-tossicità dei suoi numerosi inquinanti, sulle risorse biologiche e sull’intero ecosistema, spinsero la Commissione parlamentare di inchiesta sull’inquinamento (2003-2006) ad intraprendere una propria indagine epidemiologica campione, sulla popolazione di due comuni del bacino del Sarno, entrambi a vocazione agricola, S. Marzano, situato sul fiume, e Roccapiemonte, situato più all’interno rispetto al corso d’acqua. Tra gli obiettivi espliciti, la Commissione volle porre l’attenzione sulla ricerca di agenti inquinanti di origine agricola e presenti nelle acque di numerosi pozzi, per valutare il rischio di esposizione delle popolazioni al morbo di Parkinson. I dati spaventosi trasmessi dal Servizio di Epidemiologia dell’ASL SA 1, dipinsero uno scenario da Apokalypse Now, non nel senso di metafora della degenerazione umana e delle contraddizioni della civilizzazione, piuttosto di un racconto della reale carneficina umana che si stava consumando. Nel Comune di S. Marzano sul Sarno i tumori maligni della trachea, dei bronchi e dei polmoni erano superiori al valore regionale (46,65% contro il valore regionale 41,87%), così come i tumori maligni della prostata (24,34% contro il valore regionale 18,39%). Le malattie dell’apparato respiratorio erano notevolmente superiori sia nel Comune di S. Marzano sul Sarno (84,12%) che in quello di Roccapiemonte (67,71%) rispetto al valore regionale (56,94%). In base ai risultati dello studio contenuto all’interno della relazione conclusiva, la Commissione ritenne che vi fosse una concreta possibilità di un rischio salute per l’inquinamento del fiume Sarno, per cui era necessario uno studio epidemiologico approfondito, con un approccio interdisciplinare e utilizzando fonti diverse. Relativamente al Morbo di Parkinson, emerse che diversi giovani di età compresa fra 17 e 30 anni, con sintomi dal tremore, a rigidità, ad una vera e propria sintomatologia parkinsoniana, erano stati inviati alla struttura di Neurofisiologia del DSM dell’ASL SA 1 e che tutti questi pazienti provenivano da Scafati o area circostante. La Commissione si raccomandò affinché fosse intrapreso uno studio completo specifico.
Nello stesso anno 2006, lo scenario da Apokalypse Now viene riproiettato attraverso il primo vero tentativo di mettere in relazione i risultati della ricerca medica con quelli della ricerca sull’inquinamento. Uno studio allarmante di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienza della Terra della Università Federico II di Napoli, “The case of Sarno River (Southern Italy). Effects of geomorphology on the environmental impacts”, mostrò che una considerevole produzione scientifica dalla fine degli anni 90 agli inizi del 2000, aveva di fatto stabilito l’esistenza di una connessione tra la concentrazione di agenti inquinanti e le condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni residenti nei siti inquinati. Gli studi di diversi ospedali locali indicavano da tempo che le popolazioni del bacino erano affette da una elevata percentuale di patologie. I dati raccolti dal reparto Malattie Infettive di Sarno e dall’ospedale di Nocera Inferiore (Lauria 1998, Petrosino 2003) dimostravano che i casi di malattie infettive per trasmissione oro-fecale nell’area del fiume Sarno erano numerosi e costanti nel tempo. Le malattie cerebro-vascolari erano aumentate del 20%. In particolare, c’era stato un aumento di circa il 53% di casi di Linfoma di Hodgkin e di malattie leucemiche. L’inquinamento dell’area per evaporazione di sostanze tossiche volatili, soprattutto la contaminazione microbiologica, causata dalla presenza di metalli pesanti e pesticidi nelle acque e nel suolo, è maggiormente responsabile dell’incremento delle malattie degenerative. Correlati all’inquinamento organico sono i tumori di polmoni, cervello, vescica e stomaco molto comuni nell’area e infatti, il numero di persone che soffrivano di neoplasie mostrava un allarmante incremento. Bere acqua e mangiare cibi come frutta e verdura irrigati con acque contaminate costituisce un rischio grave per la salute (Petrosino 2003). Da allora la situazione è peggiorata e a causa delle frequenti alluvioni, i terreni lungo gli argini soggetti ad esondazioni e, dunque allagamenti, sono ad alto rischio per il deposito dei sedimenti contaminati. Nel 2008 un altro gruppo di ricercatori dell’Università di Salerno individuò nelle acque superficiali e nell’aerosol microrganismi associati con patogenicità nell’uomo, avvertendo che per le popolazioni residenti vi era un possibile rischio di infezioni proveniente anche dall’aria.
Più tardi, nel 2012 in una intervista, rilasciata agli autori del libro “Napoli. La fabbrica degli scandali”, Sergio Amitrano, oncologo e presidente della Fondazione Bartolo Longo III Millennio di Pompei, affermò che l’utilizzo delle acque del fiume per l’irrigazione dei campi costituisce uno dei gravi rischi a cui vanno incontro le popolazioni del Sarno. Tale allarme venne dalla osservazione che decine di cani randagi erano affetti da tumori. La Fondazione denunciò che, come nella Terra dei Fuochi, anche nel bacino idrografico del fiume Sarno, esiste una diffusione anomala di tumori al cervello, linfomi, glioblastomi.
Il Pentagono della morte: Scafati, Angri, Nocera Inferiore/Superiore, Siano e Sarno
Lo sfruttamento delle risorse e l’uso del bacino del Sarno come conveniente discarica di rifiuti ha comportato il progressivo degrado ambientale, con modifiche delle caratteristiche fisico-chimiche, microbiologiche e biologiche. Nel 2012, un altro studio, divenuto di riferimento, fu pubblicato dall’Università di Salerno con risultati impressionanti circa il rapporto tra difetti alla nascita e inquinamento ambientale, nella regione Campania. Effettuando un’analisi tossicologica e genetica sui pazienti esaminati, si giunse alla conclusione che esiste un legame epidemiologico tra inquinamento ambientale e salute riproduttiva nell’area salernitana. Emersero le prime prove di effetti dannosi alla salute per la sovraesposizione a inquinamento da composti simili alla diossina. Il risultato allarmante fu che nell’area di Salerno, gran parte dei feti malformati proveniva dall’Agro Sarnese Nocerino, rendendo evidente che le pessime condizioni ambientali e sanitarie dell’intera area persistevano e stavano avendo effetti tragici sulla salute umana. L’area geografica particolarmente a rischio fu battezzata “Pentagono della Morte”, delimitata da Scafati, Angri, Nocera Inferiore/Superiore, Siano e Sarno, poiché individua la figura geometrica di un pentagono.
L’anno successivo, nel 2013, il prof. Stefano Albanese dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Scienze della Terra, il quale si era già occupato della contaminazione dei sedimenti dei fiumi della Regione Campania con numerose pubblicazioni, confermò con i risultati della sua ricerca le connessioni tra le alterazioni geochimiche ambientali e determinate malattie. Si evidenziò nei siti inquinati del bacino del fiume Sarno la presenza di quantità rilevanti di cromo, rame e zinco, attribuibili all’attività antropiche (concerie, agricoltura, conserviere) e che risultarono elevatissime nei comuni di Pagani, San Marzano sul Sarno, San Valentino Torio, Solofra e Montoro, così come risultò elevato l’inquinamento da diossina. Le conclusioni più che preoccupanti dimostrarono chiaramente che l’esposizione a determinati agenti inquinanti è connessa alla insorgenza di gravi malattie croniche quali cancro, diabete, malattie vascolari e neurodegenerative. Ricordate il cromo esavalente? Questa tossina è stata resa celebre dalla battaglia di Erin Brockovich, che indagò sulla contaminazione delle falde acquifere, causa di tumori negli abitanti. Il film sulla vicenda uscito nelle sale cinematografiche nel 2000 ebbe protagonista Julia Robert premiata con l’Oscar. Sempre nel 2013, l’ASL di Salerno presentò il dossier “I tumori in provincia di Salerno 2008-2009”: l‘Agro Sarnese ha il più alto tasso di patologie, con un’incidenza tumorale che nel “Pentagono della morte” raggiunge quella delle aree più industrializzate d’Italia. Le due patologie che destano più preoccupazione sono il tumore al fegato e quello alla tiroide, di cui la prima molto diffusa nell’Agro con una percentuale di rischio che supera il 150%. I rappresentanti ASL e i responsabili del Registro tumori della provincia di Salerno, che furono ascoltati nel 2014 in audizione dalla Commissione igiene e sanità del Senato (12 dicembre 2013), riconobbero la presenza di un maggiore rischio nei distretti a nord della provincia. Ciò nonostante, nessuno studio fu avviato per approfondirne e valutarne l’entità.
Nel 2014 un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e l’Istituto di ricerca farmacologica Mario Negri di Milano, rilevarono la presenza di diverse droghe illecite nelle acque del fiume Sarno; cocaina (più presente della cannabis) e metabolita di cocaina in concentrazioni più alte rispetto anche ad altri fiumi europei. Al danno ambientale già noto dello sversamento di scarichi fognari, si aggiunge un nuovo potenziale rischio per gli abitanti del bacino che utilizzano acqua, dovuto alla presenza di droghe nel fiume Sarno, il cui conseguente effetto tossico, in parte prevedibile sulla salute umana, è ancora sconosciuto sull’ecosistema fluviale. Uno studio sul danno provocato dall’inquinamento nel DNA di rane provenienti da Sarno e Scafati, ne ha evidenziato la possibile mutazione del sistema riproduttivo. L’ipotesi dei ricercatori è che il sistema implicato nella sorveglianza e protezione del genoma, potrebbe rappresentare per la riproduzione della specie una sorta di strumento in grado di valutare il rischio genotossico, che ha evidentemente lanciato un allarme per la sopravvivenza.
A marzo del 2018, nel convegno annuale del Rotary tenutosi nella città di Sarno, il prof. Maurizio D’Amora, già direttore di medicina del laboratorio e di tossicologia ASL Napoli 3sud, ha riportato che negli ultimi anni è stata accertata la contaminazione di tetracloroetilene nelle acque sotterranee, di cui è stata rilevata la presenza anche nel pozzo gestito dal Consorzio di Bonifica in località San Mauro nel comune di Nocera Inferiore. Alte concentrazioni di tetracloroetilene nell’uomo causano depressione del sistema nervoso centrale, mentre concentrazioni più basse danneggiano il fegato ed i reni. Lo I.A.R.C. (International Agency for Research on Cancer) lo ha classificato nel gruppo 2A (probabile cancerogeno per l’uomo). Esiste, dunque, un rischio concreto di contaminazione per le sorgenti del Sarno (Campo Pozzi San Mauro, Mercato-Palazzo e Sorgente Santa Marina) da cui l’acquedotto preleva l’acqua distribuendola ad oltre 50 comuni della Campania.
Conclusione
In definitiva, molti sono i documenti scientifici esistenti che accertano contaminazione dell’aria, delle acque superficiali e sotterranee del bacino idrografico del Sarno. Dati, monitoraggi e relazioni tecniche descrivono un fiume gravemente ammalato e rilevano una incidenza elevata di determinate patologie delle popolazioni residenti nei siti inquinati. Drammatico è stato il risultato dei ritardi – spesso inspiegabili e talvolta colpevoli – nelle due azioni considerate fondamentali e risolutive, e cioè la prima, applicare le leggi riguardanti la tutela ambientale, per far rispettare i divieti e punire gli illeciti, e la seconda, realizzare gli interventi atti a rimuovere le cause dell’inquinamento in difesa delle acque. Dal punto di vista della vigilanza ambientale, controllo e azione repressiva dei reati ambientali, ci sono difficoltà enormi a ristabilire la legalità e la sicurezza, con particolare riferimento all’attività delle industrie, nonostante gli innumerevoli rapporti e i provvedimenti adottati a seguito di ispezioni effettuate dagli Enti preposti al controllo del territorio e alle autorità. Ma, anche se le resistenze a tali iniziative sono forti, gli inquinatori non possono essere lasciati indisturbati ad inquinare il territorio impunemente, compromettendo la salute dei luoghi e delle persone nell’attesa che siano completati collettori e reti fognarie. Dal punto di vista della sorveglianza sanitaria, nessun ente si è fatto promotore di indagini epidemiologiche istituzionali, ma nella relazione della Commissione parlamentare per l’indagine sull’inquinamento del 2006, si legge che i Dipartimenti di prevenzione delle AASSLL e gli Osservatori epidemiologici regionali rivestono un ruolo fondamentale per quanto riguarda la sorveglianza della popolazione.
Per arginare i rischi e migliorare le condizioni di qualità, igienico-sanitaria, delle acque dei corpi idrici del bacino del Sarno e di tutta l’area costiera interessata dalla foce del fiume, l’attività di risanamento del territorio necessita di una visione e una gestione integrata, con il monitoraggio costante del bacino (acque superficiali e sotterranee, argini del fiume, sedimenti, ecc.) e il trattamento delle acque, accompagnata da una politica volta al ripristino della funzionalità del reticolo idrografico.
Bibliografia
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